I Malavoglia - trama semplificata, lingua e stile


1. I Malavoglia

1.1. Trama

Il romanzo racconta la storia dei Toscano, soprannominata i "Malavoglia", parola usata in senso antifrastico (cioè ironico), una famiglia di pescatori che che vive ad Aci Trezza. La famiglia è composta dal capofamiglia, il vecchio Padron ‘Ntoni, il figlio Bastianazzo con la moglie Marezza detta la "Longa" (altro esempio di nomignolo antifrastico perché la ragazza non è alta, ma al contrario piccola di statura) e i loro cinque figli ‘Ntoni, Luca, Mena, Alessi e Lia.

La famiglia gode di un certo rispetto in quanto possiede la casa del nespolo e il peschereccio chiamato "La Provvidenza" ("li avevano sempre conosciuti per Malavoglia [...] che avevano sempre avuto delle barche sull’acqua, e delle tegole al sole").  Ad un certo punto però, tutto comincia ad andare storto e la famiglia viene colpita da una serie di avversità.

Il giovane ‘Ntoni, nipote di Padron ‘Ntoni, è costretto a partire per il servizio militare, privando la famiglia di un prezioso aiuto e costringendola ad assumere un lavoratore. A questo si aggiunge una pessima annata per la pesca e la necessità di una dote per Mena, la figlia maggiore, in procinto di sposarsi.

Ciò porta Padron ‘Ntoni a decide di tentare la via del commercio e prendere a credito una partita di lupini (acquistandoli dall'usuraio Zio Crocefisso), per poi tentare di rivenderli con profitto al mercato. Purtroppo però la Provvidenza naufraga, causando la morte di Bastianazzo. La famiglia, già provata da quanto detto, è rovinata ed è costretta a vendere la casa del nespolo.

Le sciagure però non finiscono qui. Infatti poco dopo, il colera uccide la madre. La Provvidenza, riparata, naufraga di nuovo, lasciando la famiglia senza lavoro e costretta a sopravvivere con lavoretti poco redditizi. Nel frattempo, il giovane ‘Ntoni, finito il servizio militare, si rifiuta di tornare a casa e affrontare le difficoltà economiche della famiglia. Decide di dedicarsi al contrabbando e a una vita dissoluta, finendo in carcere dopo una rissa con una guardia, Don Michele. Un abile avvocato riesce a far in modo che la condanna consista solo in pochi anni di carcere, ma per ottenere questo risultato viene detto che 'Ntoni non ha ferito Don Michele a causa del traffico di contrabbando, ma per una lite scoppiata a causa della relazione clandestina tra Don Michele e Lia. La ragazza, sconvolta dalla vergogna, non si riprenderà mai e fuggirà a Catania, dove inizierà a prostituirsi. Come se non bastasse, Luca muore nella battaglia di Lissa del 1866.  Il nucleo familiare è completamente distrutto e poco dopo, Padron ‘Ntoni, ormai malato, muore in ospedale.

Tuttavia, dopo molti sacrifici, l'ultimo nipote, Alessi, riesce a ricomprare la casa del nespolo e cerca di ricostruire la famiglia.

Il romanzo si conclude con il giovane ‘Ntoni che, uscito dal carcere, fa visita alla casa del nespolo e ai fraetelli sopravvissuti, ma si rende conto di non poter più far parte di quella vita e abbandona per sempre il paese natale.

 

1.2. Lingua e stile

Per raggiungere l'obiettivo del realismo, Verga adotta non solo il punto di vista e il pensiero dei personaggi, ma anche il loro modo di esprimersi, ricreando le forme tipiche del linguaggio usate oralmente. Per dar voce ai suoi personaggi Verga non riporta fedelmente il dialetto siciliano (un'opera scritta in dialetto siciliano difficilmente sarebbe stata compresa al di fuori della Sicilia), bensì si serve delle strutture grammaticali e sintattiche proprie del dialetto, insieme a proverbi e modi di dire siciliani.

Per fare qualche esempio tra le tecniche più comuni ci sono le seguenti:

  1. uso del che polivalente tipico delle lingue dialettali con significato consecutivo, esplicativo, causale, etc. ("…li avevano sempre conosciuti per Malavoglia [...] che (=dato che) avevano sempre avuto delle barche sull’acqua, e delle tegole al sole»";;
  2. ridondanza pronominale ("era grande e grosso quanto il San Cristoforo che c’era dipinto sotto l’arco della pescheria della città);
  3. verbi intransitivi usati come transitivi ("costui vuol essere rubato").

Altro pilastro dello stile verghiano è il canone dell'impersonalità. Questo consoste in una narrazione condotta in maniera distaccata, senza giudizi dell'autore, e che anzi, sembra far sparire completamente l'autore. La narrazione è rigorosamente in terza persona.


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