La Vergine cuccia - Giuseppe Parini - Commento e parafrasi


Commento

Contesto, argomento, messaggio

La vergine cuccia è una celebre passaggio estratto dal celebre poemetto Il giorno di Giuseppe Parini. L'autore aveva suddiviso l'opera in quattro parti (Il mattino, Il meriggio, Il vespro, e La notte) ma riuscì a comporre e a pubblicare solo le prime due parti a partire dal 1763.

Il poeta denuncia la superficialità e la malvagità dell'aristocrazia per la quale gli esseri umani meritano molto meno rispetto dei loro animali. Il tema è sviluppato attraverso i seguenti passaggi:


Parini vuole evidenziare due temi:

Lingua, stile e forma metrica

Metro: endecasillabi sciolti

Il tono predominante nel passo e nell'intero poema "Il giorno" di Parini è l'ironia, che nel brano "La Vergine cuccia" si trasforma in sarcasmo e indignazione. L'ironia si manifesta attraverso il contrasto tra la forma elevata e preziosa dei versi e il contenuto frivolo dell'episodio narrato: esempio emblematico è l'espressione "il giorno, ahi fero giorno!" (ai versi 513-514) dove la ripetizione, la presenza dell'esclamazione e l'aggettivazione esagerata (fero è aggettivo tipico della tragedia) producono proprio questo effetto.

Da segnalare inoltre il cambio di punto di vista. Inizialmente infatti, la vicenda viene presentata dalla prospettiva aristocratica, con la cagnolina (chiamata alunna al verso 519) addirittura divinizzata (chiamata idolo al verso 555). Il servo viene invece criminalizzato, considerato un sacrilego (al verso 523) e un empio (al verso 542) poiché la cagnolina è trattata come una piccola Dea.

Solo nella seconda parte dell'ode, i toni si fanno più drammatici e indignati, sottolineando il sopruso sociale. Emerge il punto di vista indignato del poeta. Nell'immagine del domestico in mezzo alla strada, privato di ogni dignità, si percepisce la commozione e l'amarezza di Parini, e il passaggio si trasforma in un'accusa contro la meschinità e l'arroganza della classe aristocratica.

Numerose le figure retoriche presenti:

  1. Allitterazioni
    1. della v: sovvien, vergine,giovanilmente, vezzeggiando, villan…servo, lieve;
    2. della c e della l: audace, lanciolla…ella, molli;
  2. Anafora - tre volte…tre volte… (v. 524), la ripetizione del tre sembra quasi la pronuncia di una formula sacra;
  3. Onomatopea - aita, aita (v. 527), il suono di questi termini riproduce i guaiti della cagnolina;
  4. Personificazione - le rispose l’Eco impietosita (v. 527), Eco con iniziale maiuscola realizza una personificazione e si riferisce alla ninfa Eco tramutata da Giunone per gelosia in semplice voce;
  5. Polisindeti
    1. ed egli…(v.522), e quella…(v.523), e da le…(v.525) creano tensione espressiva;
    2. e da le aurate volte (v. 528), e dagli infimi chiostri (v.530), e da le somme stanze (v. 531), la serie di congiunzioni rende l’idea del trambusto e dell’agitazione.

 

Parafrasi e note utili per il commento

 

TESTO PARAFRASI

[503]...Pera colui che prima osò la mano
armata alzar su l’innocente agnella,
e sul placido bue: né il truculento
cor gli piegàro i teneri belati
né i pietosi mugiti né le molli
lingue lambenti tortuosamente
la man che il loro fato, ahimè, stringea».
Tal ei parla, o Signore; e sorge intanto
al suo pietoso favellar dagli occhi
de la tua Dama dolce lagrimetta
pari a le stille tremule, brillanti
che a la nova stagion gemendo vanno
dai palmiti di Bacco entro commossi
al tiepido spirar de le prim’aure
fecondatrici.


[517] Or le sovviene il giorno,
ahi fero giorno! allor che la sua bella
vergine cuccia de le Grazie alunna,
giovanilmente vezzeggiando, il piede
villan del servo con l’eburneo dente
segnò di lieve nota: ed egli audace
col sacrilego piè lanciolla: ed quella
tre volte rotolò; tre volte scosse
gli scompigliati peli, e da le molli
nari soffiò la polvere rodente.

[527] Indi i gemiti alzando: Aita, aita,
parea dicesse; e da le aurate volte
a lei la impietosita Eco rispose:
e dall’infimi chiostri i mesti servi
asceser tutti; e da le somme stanze
le damigelle pallide, tremanti,
precipitàro. Accorse ognuno; il volto
fu d’essenze spruzzato a la tua Dama.

[535] Ella rinvenne alfin: l’ira, il dolore
l’agitavano ancor; fulminei sguardi
gettò sul servo, e con languida voce
chiamò tre volte la sua cuccia: e questa
al sen le corse; in suo tenor vendetta
chieder sembrolle: e tu vendetta avesti
vergine cuccia de le Grazie alunna.

542] L’empio servo tremò; con gli occhi al suolo
udì la sua condanna. A lui non valse
merito quadrilustre; a lui non valse
zelo d’arcani ufici: in van per lui
fu pregato e promesso; ei nudo andonne,
dell’assisa spogliato, ond’era un giorno
venerabile al vulgo. In van novello
Signor sperò; ché le pietose dame
inorridìro, e del misfatto atroce
odiàr l’autore. Il misero si giacque
con la squallida prole, e con la nuda
consorte a lato, su la via spargendo
al passeggiere inutile lamento:
e tu, vergine cuccia, idol placato
da le vittime umane, isti superba.


503]...«Muoia colui che per primo uccise senza pietà un agnello innocente e un tranquillo bue: non addolcirono quel cuore sanguinario né i teneri belati, né i pietosi muggiti né le molli lingue che leccano come accarezzando la mano che decideva il loro destino, ahimè».
Così egli si esprime, o Signore, e al suo parlare che induce compassione spunta dagli occhi della tua dama una dolce e piccola lacrima, simile alle scintillanti gocce di rugiada che in primavera stillano dai tralci della vite sacra a Bacco risvegliati dalle tiepide arie primaverili.

[517] Ora le viene in mente il giorno,
ahimè giorno crudele!  quando la sua bella e giovane cucciola educata dalle Grazie (vergine cuccia de le Grazie alunna – iperbato), scherzando come fanno tutti i cuccioli, fece un leggero segno (segnò di lieve nota - perifrasi) con i suoi bianchi denti (eburneo dente - metafora) il volgare piede del servo: e costui sfrontato con il malvagio piede (sacrilego piè - iperbato) la lanciò lontano: ed ella rotolò tre volte (tre volte… tre volte - anafora) ; tre volte scosse il pelo arruffato, e soffiò dalle morbidi narici la polvere che le irritava.

[527] Quindi gemendo, aiuto, aiuto (aita aita - onomatopea) sembrava dicesse; e dai soffitti dorati le rispose Eco (personificazione) impietosita; e dalle stanze più basse i servi afflitti salirono tutti; e dalle stanze dei piani alti si precipitarono, pallide e tremanti, le cameriere. Tutti accorsero; il volto della Dama fu spruzzato di profumi.

[535] Infine [la Dama] riprese conoscenza: era ancora agitata da ira e dolore; lanciò sguardi fulminanti (fulminei sguardi - metafora) sul servo, e con voce flebile chiamò tre volte la sua cucciola: e questa le corse in braccio; nel suo linguaggio le sembrò chiedere vendetta: e tu vendetta avesti (apostrofe) giovane cuccia allevata dalle Grazie (vergine cuccia de le Grazie alunna - riprende esattamente il v.3).

[542] Il servo sacrilego tremò; con gli occhi bassi ascoltò la sua condanna. A nulla gli valse  aver servito meritevolmente per vent’anni; non gli valse neppure l’impegno dimostrato nell’eseguire commissioni delicate: invano da parte sua fu pregato [di avere pietà] e promesso [di non farlo più]; se ne andò via nudo, spogliato della livrea che l’aveva reso degno di rispetto agli occhi del popolino. Invano sperò [di trovare] un nuovo padrone; perché le dame sensibili (pietose – della cagnetta ma non del servo - sarcasmo) inorridirono [sentendo ciò che aveva fatto] e odiarono l’autore di un così atroce misfatto. Il poveraccio  rimase in mezzo ad una strada con a fianco i suoi poveri figli e la moglie privata di ogni cosa, a chiedere per strada l’inutile lamento [per l’elemosina] ai passanti: e tu, giovane cucciola, incedi superba  come una divinità placata da [un sacrificio di] vittime umane (idol placato da le vittime umane - metafora).

 



Giuseppe Parini.

Il giorno

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